top of page

LE STANZE

LE TEMPERE

DIMENSIONE - COLORE

 

A CURA DI HORTUS ARTIERI

Opere di

Gianni Baretta

 

Inaugurazione:

Sabato 18 Marzo 2023 - 10:30 / 12:30

Presentazione di Alessandro Miorelli

 

DAL 18 MARZO  AL 22 APRILE 2023

 

Orari:

Giovedì/Venerdì/Sabato 10:30/12:30

Nel pomeriggio di Giovedì e Venerdì su appuntamento

Luogo:

HORTUS ARTIERI

Vicolo dei Birri 7 - 38122 Trento

Sospesi nei mondi-stanze
di Alessandro Miorelli

L’incontro con la serie Stanze di Gianni Baretta implica un impatto liminale in cui entra in gioco la necessità di varcare un confine, o meglio una soglia significante, per accedere alle scene compositive. I contenitori in legno, che racchiudono e disvelano ogni singolare universo immaginativo, introducono una dimensione, allo stesso tempo ruvida e delicata, riconducibile emblematicamente a quella raffinata umiltà che spesso è cifra sottostante dei tracciati artistici barettiani. Ad ogni modo, nel momento in cui vengono oltrepassate, queste scatole, spesso povere e assemblate manualmente, non esauriscono il loro ruolo, ma continuano a incidere e a caratterizzare la manifestazione dell’opera “all’interno”. Le composizioni di Baretta, come diorami astratti, si presentano, quindi, anticipate da porte d’accesso materiali, da prologhi rudi (ma mai grevi o incoerenti rispetto al contenuto), che però non si limitano a fare da fondale o da quinte scenografiche alle costruzioni del “dentro”, bensì diventano presenza persistente nel percorso spaziale delle forme interne interrogandole sul piano funzionale e formale attraverso il loro accento tridimensionale di ombre e di spessori.  È per questo che sarebbe preferibile definirle, più che cornici nel loro compito separativo tradizionale di riquadratura dell’opera (funzione che comunque rivestono), come contenitori significanti che intervengono con costanza a scortare e riconnettere le equilibrate composizioni dei mondi “metafisicamente sospesi” di Baretta, che si scoprono come tesori squadernati nel loro profondo. 


La scelta dell’artista di collocare le forme all’interno di queste cornici-contenitori, che lui stesso ha legato in parte ai “teatrini” melottiani, produce così un débrayage spaziale precipuo, in cui il luogo comunicativo dell’arte slitta, confinato in un ibrido che getta un ponte/porta (che è unione e scissione al tempo stesso, come voleva Georg Simmel) tra il mondo esterno e l’opera. Ed è proprio nelle cornici-contenitori in legno che si svelano le condizioni di possibilità della visione astratta secondo Baretta.
Le scatole, che racchiudono elementi oggettuali cubici, circolari, cartacei, di plastica, lisci o corrugati, che si appoggiano o levitano sullo sfondo, dipinti o frutto di collage, invitano a osservare e inscenare la composizione dell’astrazione e allo stesso tempo a riflettere sull’invisibile rapporto con il mondo esterno.   


Al di qua della cornice c’è la realtà con i propri volumi e le proprie luci ed ombre, nella cornice c’è una materialità grezza che, di volta in volta in modo diverso, si alleggerisce con sapiente coerenza per ogni singola stanza, per indirizzare lo sguardo al di là, nello spazio astratto di forme e oggetti plasticamente sospesi, quasi avvolti da un’aura di mistero. Non isolati, non relegati in un iperuranio dell’arte, gli elementi si scoprono in relazione costante con il di fuori spazio-temporale mediato dalle cornici. Entrare nelle stanze di Baretta non vuol dire semplicemente muovere dalla realtà all’arte o viceversa una volta per tutte: vuol dire invece oscillare nello spazio ambiguo che separa e richiama al tempo stesso i due ambiti, come un movimento sospeso su una distinzione ontologica, come un transito incessante tra due mondi diversi.


Differenza questa, quindi, che Baretta non propone come disgiunzione insanabile, come direttrice monodirezionale tra terreno della vita e mondo delle forme dell’arte, ma alla stregua di un pendolo che di continuo oscilla tra gli spazi contaminandoli nella sospensione e nel ricercato equilibrio; perché le Stanze non mettono in questione il porsi dell’arte come un’evasione che si chiude in se stessa: in gioco è invece la funzione metafisico-esistenziale della composizione, come tentativo di raccogliere materiali, oggetti, presenze, volumi, cromie provenienti dal di fuori per riconfigurarle in modo nuovo nel dentro. 


Il “dentro” delle Stanze, poi, è alla ricerca di un ordine articolato, ma non meccanicamente matematizzato, mai ripetitivo, bensì improntato da un atto di occasionalità studiato secondo le regole dell’equilibrio, dei giochi di luce, delle corposità volumetriche e dei materiali di riuso (legno, metallo e piccole trouvaille soprattutto). Ecco che si ritrovano così solidi deposti o giustapposti su fondali che dialogano tra loro nell’equilibrio delle posizioni, delle ombre e delle cromie, alcuni più geometricamente disposti altri quasi strappati o emersi da scene volutamente grezze. Esili aste metalliche, figure lignee porose, lievi strutture in gesso attraversano le scene con le loro forme frammentate, materiali e concrete. Non c’è alcun elemento che ricerca la perfezione astratta della forma matematizzata o eterea di un universo incorruttibile e immateriale. C’è la presenza del corpo, della grana, del contorno imperfetto, della sostanza mondana in una composizione che si presenta comunque come rarefatta, essenziale e ordinata secondo una logica poetica della grandiosa umiltà.  Così anche il dentro parla al fuori interrogandolo e richiamando il linguaggio delle forme “concrete e semplici”. È un ordine in cui va letta sempre la matrice parallela che segue il criterio della sospensione e che promette di dare univocità ad un insieme infinito di possibilità. L’oscillazione continua tra dentro e fuori dispone così verso una prospettiva del molteplice sia nell’arte che nella vita convocando alla ricerca di un senso. Senso che non intende negare il mondo nelle sue forme consuete apparentemente naturali o pratiche, ma lo mette quasi husserlianamente tra parentesi (nei contenitori in legno) in modo che gli elementi possano riconfigurarsi come essenze formali capaci di svelare una nuova comprensione dei loro rapporti. 


Vi è nelle Stanze una fragile e delicata potenza che induce a piegare i passi interpretativi sul tracciato di strade modello come quelle di Klee, Kandinsky, Morandi (come già magistralmente indicato da Rosalba Zuccaro), ma che racchiude una sintesi originale proprio nel concetto di sospensione, di una epochè il cui risultato consiste nella realizzazione di microregioni dell’astrazione capaci di aprire ad una coscienza diversa, in dialogo col reale, delle forme e delle composizioni.


Ogni stanza, scevra da ideali di esattezza, è come avesse in sé un dispositivo (di sospensione) che conferisce a ogni elemento una sua precisa ragion d’essere capace di centrare l’obiettivo di una nuova visibilità delle forme che ci circondano. 
Ogni stanza di Gianni Baretta diventa così episodio iconico di un percorso concettuale, multiplo e vario, che illumina racchiudendole (e sospendendole) più prospettive formali d
ella realtà e dell’arte. 

Alessandro Miorelli

VISITA L'ANTEPRIMA DELLE DUE MOSTRE

bottom of page